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    Presenze romane lungo la via per Alife

 

di Nicola Mancini

 

Il celeberrimus tractus venafranus allifanus(1) era attraversato, nella prima parte, dalla via Latina e poi da un diverticolo che, staccandosi dalla suddetta via, superava il Volturno(2) nei pressi dell’ attuale Torcino, Entrato nell’ agro alifano a Mastrati, passava per Cegna e, seguendo il tracciato dell’ odierna Strada Statale, raggiungeva la porta occidentale di Allifae.

Di questa strada, dapprima ridotta a sentiero, altre volte inghiottita dalla boscaglia, poi rinnovata e coperta d’ asfalto, si avverte, oggi, l’ antica presenza per resti dispersi di vari edifici posti sul suo percorso.

La prima costruzione doveva trovarsi in territorio di Ailano, tra la riva sinistra del Volturno e quella omonima del torrente Lete, in località Cegna, dove, nell’ VIII sec., Petronace, abbate di Montecassino, fondò il famoso monastero femminile di S. Maria in Cingla, includendo in esso la Chiesa di S. Cassiano, a suo tempo fatta costruire da uno sculdascio beneventano. Seguendo una frequentissima abitudine di quei tempi è molto probabile che questa chiesa sia stata eretta su resti di un edificio romano del quale oggi non ci resta che un misero avanzo d’ iscrizione dove si legge, in belle e grandi lettere del I sec. a. C.  ...VR N..., e un blocco di pietra perfettamente squadrato, recante in rilievo due scudi incrociati, sovrapposti a due giavellotti.

Proseguendo verso est, in corrispondenza della cosiddetta Rava di Raviscanina, a monte della strada, vi doveva essere una mutatio per il cambio dei cavalli. Lo fa supporre il cunicolo di un modesto acquedotto romano, venuto alla luce nel bosco delle Cerrete a seguito di una piccola frana. A valle di esso infatti si trovava la costruzione che utilizzava queste acque, poi godute, in epoca medioevale, da un altro edificio, i cui ruderi, seppur nascosti tra la fitta vegetazione, sono sparsi su una superficie così vasta da far supporre la presenza di un monastero, forse quello di S. Stefano a Strada di cui parla il Di Meo.(3)

Un chilometro più avanti, sulla destra, appare una torretta medioevale,(4)sorta anch’ essa su alcune strutture edilizie romane di cui rimangono numerosi frammenti architettonici accantonati nelle immediate vicinanze della Masseria Longo, all’ esterno della quale sono immurate due epigrafi latine, mentre altre, pur qui rinvenute, sono state trasportate altrove.(5) Il tutto, compresi i resti di un acquedotto, appartenne a qualche villa o a qualche luogo di culto sul quale venne poi a disporsi, prima dell’ anno mille, la Chiesa di S. Stefano, anch’ essa perita nel tempo.(6)

Approssimandoci ai Quattroventi, in località Le Cappelle, a qualche diecina di metri dalla sponda sinistra del Volturno, doveva essere la villa dei Granii,(7)della quale sono emerse durante una recente ma breve campagna di scavi, alcune frammentate strutture murarie, alle quali bisogna aggiungere i resti di pavimenti a mosaico rinvenuti, qualche anno prima, dall’ Ispettore Onorario, Armando Vendettuoli, e un frammento epigrafico relativo alle gens Grania, trovato nel primo ventennio di questo secolo.(8)

Proseguendo verso Alife, un chilometro al di là dei Quattroventi, troviamo i ruderi di un sepolcro recentemente liberato da una fitta vegetazione parassitaria che, sgretolando la muratura, ha reso poco riconoscibile l’ originaria forma del monumento. E’ ben visibile, però, un basamento quadrato col lato di m 12, sulla cui risega si erge una massa informe di muratura, forse una piramide tronca, sulla quale si vedono i resti della nicchia che conteneva il corpo del defunto o l’ urna con le sue ceneri. Di questo sepolcro ci restano alcuni blocchi lapidei decorati, i quali con la loro forma leggermente ricurva ci danno certezza che sul monumento dovevano essere elementi architettonici cilindrici. Sul più grande di questi massi (cm 150 x 73) vi è, in rilievo, una nave armata con la poppa a testa di cigno; su un altro (cm 75 x 73 un’ aquila che stringe nel becco un serpente; un altro ancora (cm 162 x 56) un bucranio con festoni di fiori. I primi due sono poco lontano, nella Masseria Pezzullo; il terzo è oggi conservato nell’ abitazione di Alberico Apuzzo,(9)e sembra essere appartenuto ad un grande anello decorativo sul quale trovavano posto altre lastre di pietra che ripetevano il motivo di quella giunta fino a noi: un bucranio sospeso a due festoni di fiori, il tutto racchiuso in una cornice periferica. E’ probabile che i lastroni decorativi fossero otto, ognuno posto sull’ arco di 45° di un ottagono regolare, inscritto in una circonferenza di m 4 circa di diametro.(10)

Da questa decorazione circolare bisogna escludere gli altri massi sopracitati, i quali, essendo più alti, dovevano trovar posto in un’ altra fascia del monumento,(11)dove probabilmente era anche l’ iscrizione sepolcrale di cui ci restano due frammenti anch’ essi leggermente incurvati. Sono immurati capovolti all’ esterno di una masseria abbandonata, e vi si legge, in belle lettere di cm 16, il nome del tribunus militum Sontius Cimber.

Poco lontano da questa iscrizione, a qualche diecina di metri a monte della S.S. 158 vi era una grande villa romana che copriva una superficie di circa 2200 metri quadrati, quanti appunto ne delimita il sottostante criptoportico. Questa costruzione seminterrata, che aveva lo scopo di offrire agli abitanti ed agli ospiti della villa un luogo protetto dai calori dell’ estate e dall’ intemperie dell’ inverno, è ancora in discreto stato di conservazione e ci mostra un grande e lungo portico coperto, a pianta rettangolare (m 67,8 x 33,6) illuminato ed aerato da 44 finestre strombate sui giardini circostanti e aperte sui tre lati esposti al giro del sole: otto sono su quello orientale, ventitrè sul meridionale e tredici sull’ occidentale. Due scale interne permettevano l’ accesso al piano superiore, mentre si comunicava coll’ esterno attraverso un lungo corridoio che si apriva all’ estremità occidentale di un grande muro di contenimento le cui arcate cieche sono ancora ben visibili dalla strada.(12)

Queste dimore signorili, di cui sono altri ruderi nell’ agro alifano,(13) erano spesso caratterizzate da ambienti seminterrati, ottenuti sfruttando il declivio naturale del terreno che favoriva la costruzione di terrapieni, addossati a robusti muri delimitanti criptoportici e cantine. Contemporaneamente si creavano sulla spianata soprastante ameni giardini da cui la vista poteva spaziare sulla sottostante valle del Volturno, fino alle montagne oltre il fiume.

Durante le operazioni di sterro(14) di questo criptoportico non è stato possibile trovare un solo frammento notevole degli elementi decorativi che certamente vi erano, eccetto un piccolo brano marmoreo dei fasti municipali di Alife recante incerti nomi di consoli romani e magistrati alifani attribuibili, forse, agli anni 26 e 27 d. C.(15) E non è da escludere che da qui venisse il frammento panneggiato di una statua marmorea, visibile, fino a qualche anno fa, nella muriccia fiancheggiante la strada statale.(16) Potrebbe essere uno dei tre pezzi di un torso di statua di cui parla il Trutta.(17)

Altri resti di un’ altra villa romana si trovano qualche chilometro più avanti, sempre sulla sinistra, in località Le Grotte, dove sono gli avanzi di un criptoportico di cui, al tempo del Trutta,(18)se ne vedevano una cinquantina di metri ed oggi molto meno. D a qui proviene un grosso masso regolare recante la scritta OPI, attualmente conservato nella masseria Peci, lungo la statale 158.

Ma il monumento più importante di questa strada è il Torrione, posto poco dopo la succitata contrada Le Grotti, a tre chilometri dalla città. Questo imponente e massiccio rudere, seppur gravemente danneggiato dagli anni e dagli uomini, è chiaramente un monumento funebre eretto alla memoria di un nobile personaggio della municipalità alifana. Si tratta di una possente struttura muraria altra complessivamente oltre dodici metri, ma assai guastata anche dalla vegetazione spontanea che, specialmente nella parte inferiore, ha distrutto importanti particolari architettonici utili per l’ esatta determinazione delle misure originali del manufatto.(19)

Ma più di tutto è da deplorare la perdita dell’ iscrizione sepolcrale che non ci consente di conoscere il nome dell’ illustre cittadino alifano onorato con questo mausoleo, sulle cui pareti doveva comparire anche lo splendore delle decorazioni e dei rivestimenti marmorei degni della posizione sociale del defunto.

Ma, a riguardo di questa grave perdita, è opportuno rileggere il documento che è nella prefazione alla Chronica ignoti monachi cistercensis S. Maria de Ferraria, edita dal Gaudenzi nel 1888, dove, tra l’ altro, è riportato un diploma contenente alcune conferme di possesso che Guglielmo II rilascia, nel 1189, al Monastero di S. Maria della Ferrara di Vairano.

In una di esse si legge: ...in alio vero loco eiusdem alifie ubi dicitur monumentum vulparie juxta viam publicam et juxta terram civium ipsius Alifie, dove il Monumentum Vulpariae potrebbe l’ odierno Torrione, a quell’ epoca citato con la sua esatta denominazione tratta dall’ epigrafe onoraria della defunta, una nobildonna alifana.

A conferma di questa identificazione concorrono alcuni documenti del sec. XV, tutti relativi ai possedimenti terrieri che il Monastero di S. Maria della Ferrara, aveva nel territorio alifano. Infatti tra alcune pergamene di questo monastero, oggi conservate nell’ Archivio di Stato di Roma,(20)vi è uno strumento del 1454 col quale l’ abate della Ferrara affitta al magistro Thomasio johannis nicolaj de perna de sancto angelo rauiscanine quadam terram sitasm et positam in territorio et pertinentijs sancti angeli predictj, in loco ubj dicitur lo monumento et hoc dixit habere fines iuxta terram lillj Simeonis, juxta thomasij petrj de honufrio, iuxta stratam puplicam, juxta terram judicis colacij de dicto sancti angelij, et alios confines.

Questo contratto di locazione si ritrova integralmente in altre carte dello stesso periodo e dello stesso monastero, in un faldone contenente il censimento di tutte le proprietà terriere che S. Maria della Ferrara aveva dato in affitto a vari cittadini.(21) Vi sono poi altre due dichiarazioni che fanno anch’ esse menzione del monumento. La prima dice: Item terram aliamque dicitur lo pastino dela ferrara, juxta viam puplicam a parte orientis diuiditur ab alia terra dicti sacri monasterij dicta delo monumento, juxta aliam viam puplicam a capite. L’ altra: Item terram aliam sitam alo monumento juxta viam puplicam versus occidentem que diuidit aliam terram ab alia terra dicta lo pastino dela ferraria juxta aliam viam puplicam a parte superiorj.

Pertanto il Monumentum Vulpariae era vicino al cosiddetto Pastino dela Ferraria, a sua volta localizzato in territorio castri Sancti Angeli ubi dicitur sopra le pastena de la ferrara sopra le grotte juxta stratam puplicam juxta terram dicti monasterij. Le Grotte qui citate sono le stesse di oggi, poste immediatamente prima del Torrione, sulla stessa strada, (juxta stratam puplicam), che passava accanto al Monumentum Vulpariae. Questa dovrebbe essere l’ antica via romana, come chiaramente appare dal fatto che, in questi documenti, tutti i tronconi di questa strada, forse ancora parzialmente lastricati, vengono indicati col termine di strata puplica. Per le altre si usa genericamente l’ espressione via puplica.

Non resta perciò alcun dubbio che nel sepolcro fosse deposto il corpo di una matrona alifana, Vulparia, il cui nome, peraltro, è, sotto qualsiasi forma, ignoto all’ epigrafia ed alle fonti letterarie dell’ Impero Romano.

Tuttavia, se il carattere monumentale di questo sepolcro non lascia dubbi circa la posizione sociale della defunta, non è altrettanto chiaro il perché sia stato preferito un luogo così lontano dalla città. Eliminati i problemi di ordine economico, palesemente ignoti alla famiglia di Vulparia, la scelta del luogo dovrebbe essere stata dettata da motivi di ordine affettivo o da circostanze particolari.

Attualmente sappiamo che L. Appuleius Niger, curator viarum sternendarum di Allifae, fece costruire a sue spese un tratto di via lungo tre chilometri, ma non siamo in condizioni di riconoscere con certezza il tracciato di questa strada.(22) Tuttavia, se si accetta l’ ipotesi che tale tracciato coincida con il tratto di strada che parte dal Torrione e giunge alla porta occidentale di Alife,(23) potrebbe credersi che Vulparia altra non fosse che la moglie di L. Appuleio. Il sepolcro sarebbe stato posto proprio all’ inizio di un’ importante opera pubblica nata dalla munificenza del coniuge della defunta, che ora era lì, tra i marmi di quel grande sepolcro, a dare il primo saluto ai viaggiatori ed a ricordare i meriti del marito.

Accanto a questo monumento si vede, sotto un cumulo informe di cespugli, un’ apertura sormontata dall’ arco di una volta che coperta una stanza quadrata, priva di finestre. Oggi i guasti e la fitta vegetazione spontanea non consentono di risalire, con certezza, alla forma originaria della costruzione, ma, nel 1957, il De Franciscis(24) vi riconobbe un altro sepolcro romano su una base quadrata di sei metri e venti un cilindro dell’ altezza di circa 4 m. ed all’ interno un rettangolo coperto a botte di circa 5 m. per 4 e la differenza tra i due lati e dovuta alla presenza del vano d’ ingresso in continuità della volta a botte nel cui intradosso sono ben riconoscibili i segni delle tavole che formarono la centina della struttura concrezionale. Ma una mia recente ricognizione ha trovato un ambiente a pianta quadrata, con quattro pilastri d’ angolo dai quali si innalza una volta a botte. Su ognuna delle tre pareti che ancora si conservano, vi è uno spazio di m. 2,4, che è il doppio della larghezza dei pilastri che lo delimitano; sulla quarta, quella meridionale, era l’ ingresso, poi malamente allargato per una diversa utilizzazione del luogo. Allo stato attuale delle cose bisogna attendere scavi futuri che permettano di accertare la presenza del basamento e, più che altro, quella del cilindro.

Infine l’ ultimo monumento sepolcrale, di cui oggi abbiamo notizia, si trovava poco prima dell’ odierno cimitero di Alife, sempre a sinistra della strada. Probabilmente anche qui vi era un cilindro in muratura, sul quale venne poi costruita la chiesetta della Madonna delle Grazie, lasciando sotto una tomba circolare della quale D. Caiazza riporta pianta e sezione.(25)

Qui termina questo breve viaggio sull’ antica via per Allifae, sulla quale via la Sovrintendenza Archeologica di Alife sta eseguendo protezioni e scavi sistematici, a salvezza delle numerose testimonianze del tempo antico, le quali, già da sempre abbandonaste a se stesse, rischiavano ulteriori irreparabili danni.(26)

(Dall’ Annuario 1999 dell’ Associazione Storica del Medio Volturno, pag.167)

 

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(1)L’ espressione è in Cicerone, Pro Plancio, 9, 22.

(2) Dell’ antico ponte sul Volturno il Truttsa vide i ruderi mentre si costruiva quello poi detto Pontereale, oggi ancora in piedi. Vedi G- Trutta, Dissertazioni istoriche delle antichità alifane, Napoli, 1776, pag. 229.

(3) Di Meo, Annali, Vol. 12°.

(4) D. Caiazza, Archeologia e storia antica del Mandamento di Pietramelara e del Montemaggiore, II, Isola Liri, 1995, vi riconosce, dubitando, un battistero medioevale.

(5) Per queste iscrizioni vedi N. Mancini, Allifae, Piedimonte Matese, nn. 8, 38, 56, 58, 74 e N. Mancini, in Samnium, 1997, psag. 54.

(6) Le tracce di questo luogo di culto sono comparse casualmente, ma molto evidenti, e perciò è stasto possibile rilevare con buona precisione la forma della chiesa, nella quale l’ elemento più importante per la datazione dell’ edificio è la presenza del nartece. Questo ambiente, antistante alla chiesa vera e propria, non è più presente nelle costruzioni sacre erete dopo l’ anno mille. (Vedi N. Mancini, Raviscanina. Ricerche storiche. Piedimonte Matese, 1998, pag. 28). La chiesa doveva essere dedicata a S. Stefano perchè il luogo dove ancora sono i ruderi è stato, da sempre, chiamato con questo nome.

(7) La gens Grania era una cospicua famiglia alifana del I sec. d. C. Le iscrizioni ci fanno conoscere un Marcus Granius Kanus, pretore e proconsole, e un Marcus Granius Cordus, tribunus militum, praefectus equitum ed infine praefectus fabrum nell’ esercito romano. Tornato ad Alife vi tenne per tre volte il duovirato quinquennale ed ebbe poi la direzione dei lavori di scavo che condussero una parte delle acque del Torano a lambire le mura occidentali di Alife (Vedi N. Mancini, Allifae, psag. 10).

(8) I suddetti, brevi scavi del 1996 hanno portato alla luce ambienti marginali della casa, riservati probabilmente alla servitù, perciò sarebbe stato più opportuno continuare i saggi qualche mestro ad est degli attuali, là dove si sono rinvenuti i già citati frammenti di pavimenti a mosaico.

(9) Molti anni fa questo masso decorato si trovava in un’ altra masseria degli Apuzzo, ad est del sepolcro. Per una più dettagliaata descrizione di questi rilievi vedi A. M. Villucci, Sculture d’ età romana dal territorio di Allifae, in Il territorio alifano, Marina di Minturno, 1990, pagg. 154-160.

(10) Questa  forma ottagonale si fa preferire alle altre perchè si può facilmente ottenere dal disegno di un quadrato. Al momento non ci resta che attendere la fine dei lavori di scavo, quando il rinvenimento di altri particolari architettonici potranno suggerire una più precisa ricostruzione del monumento.

(11) Il blocco decorsato con la nave ha una lunghezza di cm 150 che moltiplicati per otto danno una circonferenza di cm 1200 cui corrisponde un diametro di circa m 3,80.

(12) Vedi L. Di Cosmo, Il territorio alifano, pag. 171.

(13) Si trovano presso il cimitero di S. Angelo d’ Alife, nella contrada Crocifisso e nella contrada Le Grotti, tutti in ternimernto di S. Angelo d’ Alife.

(14) Gli scavi furono eseguiti dall’ ing. Gabriele Martone di S. Angerlo d’ Alife e si svolsero dal 1960 al 1965. Il materriale di sterro fu portato all’ esterno attraverso il corridoio già citato e con esso si formò un grosso mucchio di terra ancora visibile. E’ probsabile che in esso si trovi ancora qusalche piccolo frammento dei fasti municipali di Allifae, sfuggito agli scavatori per la semioscurità dell’ ambiente in cui lavoravano.

(15) Il frammento è stato illustrato da G. Camodeca in I convegno dei Gruppi Archeologici dell’ Italia Meridionale, Prata Sannita, Isernia, 1988,psg. 31.Vedi anche N. Mancini, Associazione Storica del Sannio Alifano, Annuario 1968, Capua, 1968, pag. 87 e in Allifsae, pagg. 11 e 12.

(16) Nel 1993 questo frammento fu divelto intenzionalmente da ignoti trafugatori di materiale archeologico. Il blocco fu tratto dalla muriccia grazie alla spinta di un’ automobile che lasciò sul posto i resti del suo paraurti.

(17) G. F. Trutta, op. cit. pagg. 205 e 206.

(18) G. F. Trutta, l. c. pag. 158.

(19) Le misure che ho potuto rilevare con qualche difficoltà sono le seguenti: primo basamento lato = m 13,4; secondo l = 11,8; terzo m 10,2; altezza del cilindro m 8,6; altezza di ogni grasdone m 1,2. Tuttavia ho ritenuto fosse più opportuno ricercare i numeri tondi in piedi romani (un piede = cm 29,57). Ho ottenuto per il primo basamento 45 piedi, per il secondo 40, per il terzo 35; altezza del cilindro 30 piedi; altezza di ogni gradone 4 piedi.

(20) Archivio di Stato di Roma. Pergamene dell’ Archivio dei Cistercensi di S. Maria della Ferrara di Vairano. Cassetta n. 220. Sono venuto a conoscenza dell’ esistenza di queste pergamene leggendo il dattiloscritto della signora Rosa Cifonelli Altieri, Storia di S. Maria della Ferrara, Roma, 1978. L’ opera si conserva presso l’ Associazione Satorica del Medio Volturno.

(21) Archivio di Stato di Napoli. Cappellano Maggiore, vol. 1081, fol. 143, 167, 303.

(22) Corpus Inscriptionum Latinarum, Vol. IX, 2345.

(23) N. Mancini, Allifae, pag. 12, Piedimonte Matese, 1993.

(24) De Franciscis, Mausolei romsani in Campania, Nsapoli, 1957, pag. 110.

(25) D. Caiazza, op. cit. pag. (?) Tav. XXXII a pag. 132.

(26) Oltre tutto gli scavi archeologici potrebbero offrire lavoro a molti disoccupsati, perchè tali interventi non possono essere affidati alla lama di un piccone e tantomeno ai denti d’ sacciaio di una pala meccanica, ma hanno bisogno del lavoro paziente e delicato dell’ uomo. Si pensi, ad esempio, al tempo ed alla manodopera necessari per sgomberrare le macerie che ricoprono il Castello di Ravecanina, il quale racchiude entro la sua cinta muraria una superficie di oltre ventimila metri quadrati, tutti cosparsi di materiali provenienti dal crollo di fabbriche antiche.